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al testo di Marina Pacifici
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Dilegua la festa.
Di noi, degli Amori, passioni, affanni, nella valle di tenebra d’isolamento cosa resta? Forse il malinconico canto d’Orfeo nell’ostile vento erto d’inganni. Tacciono le viole, ammutolita l’armonia, perduti gli accordi, soffocate in silenzio irreale le parole. Nel bel mezzo della sinfonia l’oltraggio, il blasfemo affronto, l’eresia. Due ceffoni al grande Toscanini tra le risa ed i fischi di squallidi gerarchetti lacchè e caini. E l’anima d’artista si ribella, vola via in esilio. Rifulge l’orgoglio suo più d’una stella, nel vespro vermiglio. La musica è finita, i suonatori se ne vanno, malinconico il passo in lontanza del direttore d’orchestra. Il Maestro se ne va, il pubblico mediocre nella palude dell’ipocrisia resta. Inventario nella fiera delle vanità. Destino bieco, cinico, nello zelo subdolo e sicario. Volano via gli spartiti al vento. Nel cuore La carezza d’armonioso concento la bacchetta aurea i gesti armoniosi in levare del direttore d’orchestra, la sua voce diletta. La sonata è terminata, i musicisti se ne vanno, stendono il velo ambiguo della vita dell’amaro e perfido inganno. E inesorabile la nave nel candido sventolio di fazzoletti d’addio si stacca dal porto lambita dall’ondoso sciabordio, lasciando orfana la soleggiata banchina. Già lontano l’esule nel saluto commosso. Il fiore scarlatto agitato nel vento da una bambina, nel dardeggiare del sole vola il cuore ferito disincantato ma mai rassegnato o morto. Ed il ricordo è già dolore, la Memoria Penelope al malinconico telaio. Sipario. |
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