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L’esule

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Dilegua la festa.

Di noi,
degli Amori,
passioni, affanni,
nella valle di tenebra d’isolamento cosa resta?

Forse il malinconico canto d’Orfeo
nell’ostile vento
erto d’inganni.

Tacciono le viole,
ammutolita l’armonia,
perduti gli accordi,
soffocate in silenzio irreale le parole.

Nel bel mezzo della sinfonia
l’oltraggio, il blasfemo affronto, l’eresia.

Due ceffoni al grande Toscanini
tra le risa ed i fischi di squallidi gerarchetti lacchè e caini.

E l’anima d’artista si ribella,
vola via in esilio.
Rifulge l’orgoglio suo più d’una stella,
nel vespro vermiglio.

La musica è finita,
i suonatori se ne vanno,
malinconico il passo in lontanza del direttore d’orchestra.

Il Maestro se ne va,
il pubblico mediocre
nella palude dell’ipocrisia resta.

Inventario
nella fiera delle vanità.

Destino bieco, cinico,
nello zelo subdolo e sicario.

Volano via gli spartiti al vento.
Nel cuore
La carezza d’armonioso concento
la bacchetta aurea
i gesti armoniosi in levare
del direttore d’orchestra,
la sua voce diletta.

La sonata è terminata,
i musicisti se ne vanno,
stendono il velo ambiguo
della vita dell’amaro e perfido inganno.

E inesorabile la nave
nel candido sventolio
di fazzoletti d’addio
si stacca dal porto
lambita dall’ondoso sciabordio,
lasciando orfana la soleggiata banchina.

Già lontano l’esule
nel saluto commosso.

Il fiore scarlatto
agitato nel vento da una bambina,
nel dardeggiare del sole
vola il cuore
ferito disincantato
ma mai rassegnato o morto.

Ed il ricordo è già dolore,
la Memoria
Penelope al malinconico telaio.

Sipario.

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